VIAGGIO AL PORTO
I
Un muro, una selva di città.
Il rifiuto d'ogni uomo plausibile
che sbarri la via ad una rivolta
per sempre al contrario delle cose.
Banchine assaltate in profondo,
lontananz non è splendore
se l'ultima nave non si aspetta,
se altro ancora salperà domani.
La gloria che arride di continuo:
una sarabanda di pietà
tutta urlante alla mossa che risolve
e il giustiziere che ci fulminerà -
con una spada d'aria, in silenzio.
II
E' un teatro la via tra imbonitori,
cupi strilloni dalla faccia amara,
e la gioia ora appare d'improvviso
in un volto scolpito nel clamore.
Corre il cuore al riposo, all'abbandono,
vola all'imo dove è sangue e ferita,
al caldo seno della città materna,
vuole perdersi in quel guizzo d'amore.
Cerca strade di urla e di comete,
solo strade di mura e parietarie,
di dolore che ci invera, una terra
dove la strada è tutto. E il sole
che dentro portate sarà il solco
dove, senza infrangersi, rifiorirà,
troppo a lungo lontana, la vita.
III
Ma il dolore mi coglie di soppiatto,
e dice che ogni cosa sarà vera,
che al rondone ridonerà il suo nome
l'uomo nuovo dalla melma rinato.
Un volto metà ombra e metà sole
è ancora un volto intero, e più non so
se l'uomo a me sfuggente nella rada
sono io che muoio al tempo e al suo candore.
Qui di me si decide. Travalica
il selciato, si rialza sotto il passo,
si combatte nella pozza lucente
dove ognuno resta vinto senza orrore,
spariscono quartieri nell'arsura
di una sete che non ha fonte perenne.
Ma anch'io saprò risplendere e sparire,
essere senza essere, e di voi
senza più ali, senza più conoscere,
saprò dove discendre la strada
per rincontrarvi ancora.
STELVIO DI SPIGNO (Da "MATTINALE", Caramanica Editore, 2006, pagg. 104)
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