Recensione a
Cristiano Poletti,
Porta a ognuno, L'arcolaio, 2012
Nel suo ultimo libro di versi Porta a ognuno (L'arcolaio
editore, prefazione di Sebastiano Aglieco, 2012) Cristiano Poletti scrive: Ho camminato solo / in mezzo ai trent'anni /
sono ancora là, / ma l'angelo non mi trova - / precipitato come sono, / in
fondo / in un grumo il sangue e più in là / la mia preghiera interrotta. La
poesia s'intitola Del 28/9, non è
dato sapere a cosa si riferisca la data del titolo, in questo breve
componimento, però, sono rintracciabili alcune costanti della silloge: il
cammino, il corpo, il senso della storia. L'incipit della poesia è una
parafrasi del verso d'apertura della Commedia
dantesca, ma nel testo di Poletti il verso viene spezzato come per far precipitare
l'io nella caducità del tempo: nessun angelo, nessun messaggero divino, nessun
legame con il cielo solleva dal tempo e dalla creaturalità dell'uomo. Si resta
sulla strada come portatori di parole e di sangue. La chiosa della poesia è affidata a due versi, che sono il
risultato di una perfetta cesura di un endecasillabo: Ho scritto poesie, / raramente belle. L'autore dichiara di avere
scritto poesie, come se fossero cose accadute nel passato e non più esistenti,
poesie che erano "raramente belle". La cesura ha lo stesso effetto
che poteva avere il taglio di Fontana sulla tela, fa sì che l'opera esca da se
stessa e si riveli come ferita, faglia da cui filtra la mortalità dell'uomo. Il
sangue, l'aspetto biologico delle creature, fa capolino in molti componimenti
di questo libro e se in Poletti c'è un afflato lirico e verticale, di stampo
luziano, è anche vero nella sua poesia agisce un contro meccanismo di esposizione
dell'io al disfacimento. Queste due forze caratterizzano tutti i versi della
raccolta. Lo stesso autore in una recente intervista ha messo l'accento
sull'essenza "impressionista" delle sua poesia, dove l'io più che
dire se stesso, viene detto dalla ferita della parola. I riferimenti filosofici
non mancano in questo libro, sono quelli della formazione del poeta, Agostino
su tutti. Ma per volontà etica e per pregnanza e precisione di sguardo non
sfigurerebbe nella silloge di Poletti una proposizione di Wittgenstein che
recita: "I limiti del mio linguaggio significano i limiti del mio mondo. C’è
realmente soltanto un'anima del mondo, che io di preferenza chiamo la mia
anima, e in base alla quale solamente concepisco le anime degli altri".
Nella poesia dal titolo Chiaro il resto
troviamo i bei versi che recitano: Su per
la collina, poi in cima / l'ordine di un disegno, la casa, / pare un cerotto
messo al prato. // Confuso, il viso / prestato al paesaggio, / ferito dai
giorni [...] Anche in questa composizione lo sguardo del poeta sembra schiacciarsi
sulla grata della parola. Qui si parla chiaramente di un disegno della mente
interrotto dall'immagine della casa. La parola, la ferita di cui sopra, è allo
stesso tempo riparo, rimedio. Il solo possibile. Così chiaro il resto, / sul monte appena distante / il valzer nemico /
inizia in un momento. // Si, arrivano, non c'è tempo, / la piastrina smetterà /
di ricucire il sangue. / L'uomo preparato a questo. / È quel che pensavo, / è
ciò che amo e lo riconosco. Questi sono tra i versi più forti del libro, cantabili
in una filigrana di assonanze, dove si riconoscono richiami a Celan e al primo
Zanzotto. L'ermetismo, di cui Poletti pure si nutre, è superato dalla volontà
di stare tra gli altri, di farsi testimonianza della condizione comune. In
questo la versificazione di Poletti sembra mettere insieme le due fasi della
poesia di Luzi, quella precedente alla raccolta Nel magma e quella successiva, che ha il suo culmine ne Viaggio terrestre e celeste di Simone
Martini. Le tracce di quanto diciamo si fanno più evidenti nel proseguire
la lettura di Porta a ognuno: Brucia al sole aperto degli auspici, / fino
alle posizioni del sangue, / la nostra attesa. Ci portiamo / dal meccanismo del
rifugio / al labirinto dell'alfabeto. // È qui - qui sopra - / che chiamiamo /
qualcosa, qualcuno. / Un grido, un giorno. [...] Come le mani, così i pensieri /
si aggrovigliano. È vero, / c'è odore di camino. // Il futuro dell'io che
brucia / annuncia il freddo. // Al rifugio, certo, / torneremo (Il rifugio). Anche nella poesia Grammatica
troviamo lo stesso procedimento: Forse
nessuno si è mai ritrovato / su questa, su altre pagine. Nemmeno / di me c'è
traccia. Non mentire: / la vita ci vuole / fuori dalla letteratura. La
parola cattura ancora una volta nel bivio, nella sua funzione elementare di
"gabbia gettata sul mondo". Non si tratta di decidere per l'elemento
simbolico o naturale, bisogna ricordare che la parola poetica, qualsiasi sia la
sua forma o espressione, riconduce chi legge, e chi scrive, alla condizione
originaria dello zoon, al nostro
essere una ferita della natura. Ma la parola è anche memoria della nostra
faglia naturale, memoria dello spazio creaturale che ci è dato vivere. Questo spazio
è da dire sempre e comunque, non è acquisito mai del tutto. Da qui il cammino. Ricordami, se dimentico / questa luce
naturale. Entri pure, / mi tocchi se vuole, poi via / dalla mente, e si
sbrighi, sul foglio (Ricordamelo, per
favore). Non esiste un luogo che
ci contenga, non esiste parola che ci acquieti. Questa è la cifra della nostra
animalità, ed è da sempre la cifra del tempo.
Vincenzo Frungillo