lunedì 15 aprile 2013

SEBASTIANO AGLIETTO RIFLETTE SU "LA VALIGIA E IL NOME" DI MASSIMILIANO ARAVECCHIA



Massimiliano Aravecchia: appunti viaggiando con le dita sospese

Massimiliano Aravecchia LA VALIGIA E IL NOME, L’Arcolaio 2012

 
…Queste poesie si aprono con una dichiarazione di umiltà: “sei presuntuoso, pensi/d’avere una tua storia stretta in tasca sotto il sole a primavera,/ essere in mezzo agli altri il più diverso”, p.13.
… Forse questo è dovuto allo stato provvisorio di esule – ricordo la mia prima valigia, la mia prima nebbia, in piazza Marinai d’Italia, nel 1985, a Milano -
 … Giovani che viaggiano per città d’Europa, non con quel sentimento di annullamento che avevo io, ma con una resistenza maggiore, una propensione a non farsi fottere, a vivere intensamente. O forse per un identico sogno, quello stesso confondersi in una promessa di sogno: ” nella notte adolescente”.
… Leggiamo citazioni letterarie nella vita, la vita che cita la letteratura, o viceversa. E soprattutto la notte, l’ indistinta e fascinosa forma dell’andare per ombre.
…Il viaggio fa scaturire improvvisi racconti: la storia cupa, la storia che emerge dalla notte, una storia di adolescenza rediviva.
… Cameratismo adolescenziale, veri proclami. Nei nostri tempi incredibilmente veloci si accorcia il viaggio di Ulisse  – che cosa potrebbe esplorare, oggi, di se stesso, di noi, del mondo? – “Ulisse cammina lento, ignora che a volte si vive solo per gravità”, p 33.
…Finisce il viaggio nella vecchia Europa, dentro se stessi, per il vecchio che già diventiamo; così si sente l’urgenza di una “geografia del ricordo”, per ordinare tutti i cassetti, entrare nel secondo tempo della vita.
…Il viaggio di Ulisse è, per Aravecchia,  un vero viaggio ad Avignone, sotto la pioggia.  ” la pioggia ci sorprese appena fuori dal ventre ci avvolse/odore di freni e notte d’autostazione: la prima/ immagine d’Avignone fu una rinascita per acqua/ di noi inesperti”, p 36.
…Ma cosa succede quando si ritorna?: il viaggio è sempre alle porte, ci portiamo dentro l’istinto del cacciatore, prede e cacciatori, con il lievatano alle porte…
…Il viaggio è dentro la propria storia, le proprie radici, negli occhi, nei gesti degli altri – nel tunnel di una stazione, adesso, mentre scrivo con le dita sospese -  nel ricordo delle persone che con le mani hanno saputo costruire un mondo: “Giovanni fu Bonfiglio Gazzotti fu muratore e straniero/ ovunque”, p 49.
…E infine il viaggio è  nella nascita, negli occhi di tuo padre che ti ha presentato per la prima volta al mondo.

Sebastiano Aglieco

***
a Manuel
quale vorace notte di metà aprile ci portava
al filo di una canzone pedalando e intorno
al turbine che rinnova le vie s’aprivano e a noi
e questa nostra cometa di ferro e manubrio lungo orbite
ciclabili se ne andava, la prua fendendo i ghiacci invernali…
venga allora la fine di questa infanzia: ma non potrà
rapire quella ruota sui pollini dal nuovo giorno
p. 31
***
un vecchio Ulisse attraversa il campo tagliandolo
in senso contrario all’onda ed in spalla reca
il remo che l’ha portato a riva mentre la primavera
genera piante inutili in mezzo al grano ed un guscio di vento
scontorna alla vista l’immobilità della terra. vedi?
l’erba si chiude ai margini del suo passo
l’ombra del ventilabro prolunga appena la sensazione di un movimento.
Ulisse cammina lento, ignora che a volte si vive solo per gravità
p 33
***
a Milena N.
un vento dall’oceano che non dà tregua, lo senti
a sparigliare il conforto di questa mia
geografia del ricordo e ricomporre un’altra lingua, a rinuncia
donare e perdita un abito identico – è tempo, mi dici, è tempo!
ed io che ti chiamavo per una storia di condoglianze
per l’inattesa rovente esplosione della forsizia
a partita già decisa lungo i muri delle case popolari…
p. 35
***
isole Cassiteridi
I
la pioggia ci sorprese appena fuori dal ventre ci avvolse
odore di freni e notte d’autostazione: la prima
immagine d’Avignone fu una rinascita per acqua
di noi inesperiti, del vento che a sparigliare -
nemmeno il respiro bastava alla corsa in hotel -
le nostre vite, la forma dei sogni creando
inesplorati mondi nel vortice nuovo dei nostri corpi
II
vedemmo elementi intrecciarsi, il polmone marino
che dicono i geografi limiti il mondo da nord
caos primigenio che scherma il mondo di sopra dal nostro -
ma vento colmava la vela delle lenzuola nel mattino
gli sguardi s’inebriavano sopra al mare color del vino
voltandosi altrove se mai la città sprofondava
nei visi consumati, nell’abitudine dei mercanti…
III
così imparammo a leggere tra le squame
del fiume Oceano il segno della marea lungo i nostri corpi
a perdersi e nuovamente scoprirsi per giorni
vasti come millenni (ma svaporava
il sogno e il relitto che avremmo veduto al Jardin des Vestiges
era forse pretesto ad una nuova partenza, nient’altro
che cenni di saluto lungo i moli del mattino)
p. 37
***
il vestibolo del tempo
IV
Giovanni fu Bonfiglio Gazzotti fu muratore e straniero
ovunque – della sua casa non più di pietre
disperse dopo l’incendio di Villanova, l’ultima lepre
indietro di cento  anni nella memoria, così lontana
che quasi ci fugge innanzi, mostra la strada…
gentile o nipote ricordati di Giovanni: non fu di libri la sua valigia
non fu  di poesia il suo tempo ma lui fu bello al pari di te
p. 49

martedì 9 aprile 2013

ROBERTO CARIFI, SULL'ULTIMO NUMERO DI POESIA, PARLA DELL'ULTIMO LIBRO DI RAFFAELE FERRARIO, "BORDERLINE. UNA PARIGI DI MENO"



ROBERTO CARIFI RIFLETTE SULL’ULTIMO LIBRO DI RAFFAELE FERRARIO, “BORDERLINE. UNA PARIGI DI MENO”. ARTICOLO PUBBLICATO SUL NUMERO DI APRILE DELLA RIVISTA “POESIA”.


Raffaele Ferrario è nato a Cesena nel 1971. Laureato in Psicologia clinica, ha diretto con Davide Argnani la rassegna di poesia “Momenti letterari” presso la libreria Mondadori di Cesena. Ha pubblicato le raccolte poetiche Manicomio e Crepuscolo degli affetti e un romanzo. L’ultimo volume di versi di Raffaele Ferrario è Borderline. Una Parigi di meno (L’arcolaio), con prefazione di Paolo Ruffilli, che scrive tra l’altro: “Il taglio e lo strappo come effetto dell’indignazione, in un mondo rispetto al quale non si può vivere che borderline, è la caratteristica dell’espressivismo dalle forti tinte e venato dall’ironia della poesia di Raffaele Ferrario, nelle sue ultime prove come in quelle passate, e anche qui nella ‘Parigi manichea’ che fa da cornice e da palcoscenico ai sussulti di un’esistenza inquieta”. Il libro mi sembra fortemente riuscito, compatto, a tratti sorprendente. Le immagini sono di Fabiana Guerrini.

Perizoma

Mite il faccino
E i perizoma
Bagnati di seme.

Bugie scardinate
Che se ne vanno
Dal naso alla cerniera.





venerdì 5 aprile 2013

VIOLA AMARELLI RECENSISCE L'ULTIMO LIBRO DI GIACOMO CERRAI: "DIARIO ESTIVO E ALTRE SEQUENZE"



ARTICOLO DI VIOLA AMARELLI (TRATTO DAL BLOG DELL’AUTRICE)





L’ultimo libro di Giacomo Cerrai ha un titolo sottilmente, e forse volutamente, fuorviante: “Diario estivo e altre sequenze”,  L’Arcolaio 2012, ha di fatto poco di una cronaca quotidiana per quanto metaforizzante e molto, invece, di una ricerca sulla natura e i limiti dell’esperienza umana.
Ognuna delle otto sequenze che compongono l’opera tende  alla dimensione di un micro poema, configurandosi quasi come un capitolo dove i singoli testi fungono da paragrafo. Il filo conduttore è appunto la ricerca, o meglio lo smascheramento (galleggia la maschera sull’acqua) delle coordinate che modellano la vita umana: il tempo (come nella sequenza di avvio che è appunto “Diario estivo”) e lo spazio (palese in “Percorsi, tragitti, altro..”). Se queste sono le campiture principali scelte dall’autore, non mancano tuttavia gli innesti materici (“Acqua, pietra, coltello”) e soprattutto un percorso di rigorosa autoriflessione  etica palese  nelle sequenze finali di “Fuori dal ring” e “Common law”.
La scrittura di Cerrai parte da una posizione frontale, quella dell’osservatore, alludendo sottotraccia a protocolli scientifici con l’utilizzo tra l’altro di lemmi tecnici (cenofobia, alogenuri, topo- logia) , per giungere progressivamente a una situazione immersiva con l’oggetto dell’indagine, che continua a negarsi, a eludere man mano che si procede nell’interrogazione (chi?; cosa?; l’ultimo –non riscattato?) la quale resta  – costitutivamente – senza risposta, fino a tangere il “vuoto” (Non c’erano regole. Non era che un piano inclinato dove le immagini scivolavano lentamente.). E’ quindi un protocollo che si auto cancella in fieri, in una dimensione che si sottrae poeticamente alla lirica, non essendoci un IO se non come mera inquadratura, e alla stessa poesia civile, di cui permane traccia tuttavia rilevante nella condivisione (tutti con le mani in alto/come arresi. / I gomiti rovesciati,/uomini preghiera appesi agli alberi) di una comune esperienza  che non fa storia.
 A livello formale, la versificazione si incentra più che sulla metrica, o sulla prosodia, sul ritmo – palese anche nella sequenza di prose denominata “Traiettorie” – ritmo  che aderisce impercettibilmente ma ostinatamente alla ricerca fenomenologica del libro, denotando l’influenza della poesia francese contemporanea  di cui Cerrai è attento studioso (sue tra l’altro alcune traduzioni di Gherasim Luca nella recente antologia “La fine del mondo – Poesie 1945-1991)”). L’uso di ampie spaziature bianche all’interno del verso e l’alternarsi di tempi verbali diversi nello stesso testo creano di fatto una sospensione mai misterica, quanto materica, come se l’esperienza dovesse liberarsi dei vincoli spaziotemporali e, soprattutto, delle stesse parole (l’ultima parola feticcio;…l’epigrafe/dei corvi sono parole/prese dai rimari)  per darsi pienamente.

Di questa tensione, destinata ontologicamente a ripetersi senza certezze del traguardo, il “Diario” costituisce testimonianza auten- tica, e in controluce, “patita” nel senso etimologico del termine: E se c’erano cerchi,/ erano la ricerca di un profondo.

VIOLA AMARELLI