venerdì 5 aprile 2013

VIOLA AMARELLI RECENSISCE L'ULTIMO LIBRO DI GIACOMO CERRAI: "DIARIO ESTIVO E ALTRE SEQUENZE"



ARTICOLO DI VIOLA AMARELLI (TRATTO DAL BLOG DELL’AUTRICE)





L’ultimo libro di Giacomo Cerrai ha un titolo sottilmente, e forse volutamente, fuorviante: “Diario estivo e altre sequenze”,  L’Arcolaio 2012, ha di fatto poco di una cronaca quotidiana per quanto metaforizzante e molto, invece, di una ricerca sulla natura e i limiti dell’esperienza umana.
Ognuna delle otto sequenze che compongono l’opera tende  alla dimensione di un micro poema, configurandosi quasi come un capitolo dove i singoli testi fungono da paragrafo. Il filo conduttore è appunto la ricerca, o meglio lo smascheramento (galleggia la maschera sull’acqua) delle coordinate che modellano la vita umana: il tempo (come nella sequenza di avvio che è appunto “Diario estivo”) e lo spazio (palese in “Percorsi, tragitti, altro..”). Se queste sono le campiture principali scelte dall’autore, non mancano tuttavia gli innesti materici (“Acqua, pietra, coltello”) e soprattutto un percorso di rigorosa autoriflessione  etica palese  nelle sequenze finali di “Fuori dal ring” e “Common law”.
La scrittura di Cerrai parte da una posizione frontale, quella dell’osservatore, alludendo sottotraccia a protocolli scientifici con l’utilizzo tra l’altro di lemmi tecnici (cenofobia, alogenuri, topo- logia) , per giungere progressivamente a una situazione immersiva con l’oggetto dell’indagine, che continua a negarsi, a eludere man mano che si procede nell’interrogazione (chi?; cosa?; l’ultimo –non riscattato?) la quale resta  – costitutivamente – senza risposta, fino a tangere il “vuoto” (Non c’erano regole. Non era che un piano inclinato dove le immagini scivolavano lentamente.). E’ quindi un protocollo che si auto cancella in fieri, in una dimensione che si sottrae poeticamente alla lirica, non essendoci un IO se non come mera inquadratura, e alla stessa poesia civile, di cui permane traccia tuttavia rilevante nella condivisione (tutti con le mani in alto/come arresi. / I gomiti rovesciati,/uomini preghiera appesi agli alberi) di una comune esperienza  che non fa storia.
 A livello formale, la versificazione si incentra più che sulla metrica, o sulla prosodia, sul ritmo – palese anche nella sequenza di prose denominata “Traiettorie” – ritmo  che aderisce impercettibilmente ma ostinatamente alla ricerca fenomenologica del libro, denotando l’influenza della poesia francese contemporanea  di cui Cerrai è attento studioso (sue tra l’altro alcune traduzioni di Gherasim Luca nella recente antologia “La fine del mondo – Poesie 1945-1991)”). L’uso di ampie spaziature bianche all’interno del verso e l’alternarsi di tempi verbali diversi nello stesso testo creano di fatto una sospensione mai misterica, quanto materica, come se l’esperienza dovesse liberarsi dei vincoli spaziotemporali e, soprattutto, delle stesse parole (l’ultima parola feticcio;…l’epigrafe/dei corvi sono parole/prese dai rimari)  per darsi pienamente.

Di questa tensione, destinata ontologicamente a ripetersi senza certezze del traguardo, il “Diario” costituisce testimonianza auten- tica, e in controluce, “patita” nel senso etimologico del termine: E se c’erano cerchi,/ erano la ricerca di un profondo.

VIOLA AMARELLI


















2 commenti:

  1. Vero, la penna di Viola è eccezionale per un libro importante come il Diario del nostro Giacomo!!
    Un abbraccio a tutti voi!!
    Gianfranco.

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