mercoledì 26 giugno 2013

EMANUELE PALLI RECENSISCE "ANASTASIS" DI NEVIO SPADONI



    TERZA PAGINA

Quotidiano LA VOCE DI ROMAGNA DEL 22 GIUGNO 2013
Articolo di EMANUELE PALLI

Il mondo ha bisogno più di ogni altra cosa di risorgere. Lo intuiamo tutti quotidianamente, ma un poeta ravennate ha messo per iscritto quest’ansia sotterranea e l’ha resa canto ed immagine per l’inquieta e smarrita contemporaneità: la sensibilità umana e poetica di Nevio Spadoni ha dato vita a un’opera dedicata allo stratificato concetto di Anàstasis, quella Resurrezione di cui Cristo ha fornito l’esempio più eclatante per incarnare un principio di speranza sui cui innervare diversamente le nostre esistenze e corroborarne la tempra morale e spirituale. Si tratta di una formidabile laude in tre quadri, intitolata per l’appunto Anàstasis (L’arcolaio, 2013).
La prima parte dell’opera si apre sul pianto della madre per antonomasia, Maria, sotto  quella croce che riflette nella sua forma e nel suo significato i dolori del passato e del futuro, gli infiniti sacrifici sparsi per le terre e le epoche come una pioggia di fuoco e di furore.
Il secondo quadro si precisa in una geografia più attuale ma martoriata da drammi atavici entro un’Africa che piange e riflette i dolori più ampi di un’umanità assediata dalla fame, dalla povertà e dal peso di odiose tradizioni. Il continente nero si configura come un luogo di dolori e ingiustizie sociali, di superstizioni che tolgono alle donne ogni diritto e pratiche aberranti come l’infibulazione che infliggono un dolore indicibile a chi deve sottoporsi a questa simbolica e carnale sottomissione: il pianto si allarga sui drammi di un continente infettato dalle sofferenze, in cui corpo umani si trasformano “in materia pregiata da espianto”. L’ultimo quadro riverbera invece una luce curativa di speranza, una salvifica iniezione di energia all’umanità: la voce del Cristo si mescola al coro dei credenti perfezionando in questa sede poetica il messaggio cristiano che si diffonde come un vento profumato, un alito odoroso di incenso che risveglia e risana. Mondare, detergere, pulire e purificare sono i verbi più frequenti in questa ultima parte e ne definiscono il campo semantico immettendo nell’atmosfera della luce che irrompe nel mondo bruciando le contraddizioni e cicatrizzando le ferite: è un seme sepolto a rivelare la potenza soteriologica del Cristo rinascente. Tra colori di variopinte farfalle, suoni di violoncelli e profumo di calicanto si risolleva il mondo dell’abisso con un Avvento che restituisce all’uomo la sua integrale dignità. Nevio Spadoni è uno scrittore bilingue che ha creato capolavori sia nella poesia in dialetto che in quella in lingua: anche questa volta è riuscito a toccare l’acme della potenza espressiva con il minimo dispiego di mezzi in un testo verticale nella sua brevità e abissale nella sua profondità che gli è venuto in italiano perché, come ci ha rivelato, «ci sono argomenti che per loro natura richiedono una lingua forse più severa e austera del dialetto». In questo testo dalla vibrante intensità Spadoni ha dato voce a un dolore onnipervasivo che cade in uno stillicidio di versi brevissimi, spesso di una sola parola scelta con cura meticolosa e folgorante ispirazione, che approfondiscono in maniera martellante e penetrante gli occulti ma illuminanti poteri dell’enunciato poetico. Si potrà ascoltare l’opera nella sua forma recitata il 4 luglio alle 21.30 ai Chiostri della Biblioteca Classense: lo stesso Spadoni, formidabile lettore dei propri testi, si esibirà insieme all’attrice Francesca Serra e a un variegato accompagnamento musicale che spazierà da antifone tardo-medievali ad anonimi canti africani fino all’esplosiva classicità di Rachmaninoff. Dal lavacro del dolore risorgerà, per gli spettatori come per i lettori di Anàstasis, intatto nella sua profumata belleza il fiore del deserto a guaire la deflorata innocenza dell’umanità e la violentata disponibilità della Terra pronta a ritornare con una metamorfosi spirituale alla sua ricchezza primigenia.
EMANUELE PALLI
Risvegliatevi
al profumo
del calicanto
che
attraversa
ogni dolore,
che fende
il ghiaccio
duro del
lungo
inverno

Nevio Spadoni

giovedì 20 giugno 2013

LA POTENZA CAMPANA DEL VERSO: CARMINE VITALE E FRANCESCO FORLANI - CASERTA E SALERNO




Carmine Vitale e la sua scrittura affollata, rischiosa, affascinante, intermodale, di cuore, del sangue, di terre lontane ad est, a nord. Il suo verso è oggettivo, è tutto & tutti. Grandi poeti dell'europa orientale si danno la mano per inseguire la radice dell'uomo, così come il cetaceo mostruoso degli oceani, che potrebbe essere la nostra radice, il nostro dio, ci viene incontro attraverso ritrovamenti acquei, incorruttibili. Questa di Carmine è poesia fiume, epica e sontuosa. Ma è pure l'empito della semplicità, il ricordarsi di un piccolo gesto, come darsi la mano o taccare il cuore di chi si ama.
Innamoratevi pure di questa forma di espressione; l'autore sarà lì con voi, pronto ad accompagnarvi nelle fluide falde della crosta terrestre e dei sogni relativi. 






  Francesco non ha tregua, si muove fecondo verso l'esposizione al massimo grado dell'euforia. Inizia con lui una lunga canzone fatta di lingue diverse -l'italiano e il francese - miscelate in modo sorprendente con il dialetto casertano, in una sorta di coriandolo, di giostra che non ha soluzione di continuità. Le gambe delle donne, la segnatura del loro incedere così flessuoso, gratificante al senso dell'equità. I treni dei suoi viaggi, le canzoni delle memorie, dei genitori, della napoletanità stile anni Cinquanta, stile Sophia e Vittorio, e Clark Gable, nel colore dei pomidori, nel buio delle gallerie dell'appennino meridionale, verso la Puglia, verso performance e verso il senso del bilancio di una vita ancora nel suo pieno intender delle cose. Capita, allora, di redigere un testamento mentre il convoglio affronta Monterosso delle Cinque Terre, oppure quando l'anonimo intercity varca le colline montane vicino a Benevento. Questo Peso del ciao rappresenta tutta la leggerezza dell'esistenza vissuta fuori dei gangheri, ma tutta all'interno di un cuore.   


                      

sabato 15 giugno 2013

SU "POESIA" DI GIUGNO 2013, ROBERTO CARIFI PARLA DI DUE LIBRI ARCOLAIO: "ANASTASIS", DI NEVIO SPADONI, E "DOPO QUESTO INVERNO" DI LUCIANO BENINI SFORZA



PER COMPETENZA, DI ROBERTO CARIFI




RIVISTA “POESIA” NUMERO DI GIUGNO 2013


Nevio Spadoni è nato a San Pietro in Vincoli (Ravenna) nel 1949, e da pochi anni vive a Ravenna. Allievo di Enzo Melandri all’Uni-versità di Bologna, si è laureato con una tesi sul filosofo spagnolo Xavier Zubiri, e ha insegnato Filosofia in diversi licei di Ravenna. Una sua raccolta di poesie in dialetto, con prefazione di Ezio Raimondi, è stata pubblicata da Raffaelli editore. Ha curato poesie dialettali e ha ottenuto diversi premi. Ora è uscito Anàstasis (L’arcolaio), con interventi di Giorgio Bárberi Squarotti ed Eberhard Bons. Il libro è costruito in tre quadri, o stazioni di argomento religioso. Bárberi Squarotti scrive a un certo punto: “È la voce aperta, dispiegata, altissima della certezza della speranza […] in forza dello straordinario ossimoro di cui Spadoni si avvale. Si affollano le citazioni bibliche, come spiegazioni del significato della storia e delle forme dell’esistenza”.
Voce

Natura debole
capricciosa
avida,
cuore tinto
di passione infetta.







È uscito, sempre per L’arcolaio, Dopo questo inverno di Luciano Benini Sforza. Nato a Ravenna, Benini Sforza Ha studiato presso la Scuola Normale di Pisa. Insegna materie letterarie e vive a Marina di Ravenna. Si è occupato  di  poesia  dialettale,  e  come  poeta ha pubblicato molti volumi, tra cui Viaggio senza scompartimento (Mobydick) e Nel fondo aperto degli occhi (Raffaelli Editore). Dopo questo inverno è un buon libro antilirico , e sublime, come sono sublimi la salsedine, la terra, l’acqua per irrigare i campi. Jean Soldini, nella prefazione, si esprime così: “Pioggia, acqua, mare su quel pavimento, su quella città che è anche andare al largo. L’acqua e la terra che ritroviamo in quelle costole nude che sono i calanchi, in quei solchi profondi provocati da erosione di superfici impermeabili eppure facilmente disgregabili […] È la condizione terrestre: più acqua che terra, un quarto di terra e tre quarti d’acqua”.

Il gioco fra le pietre

Del muro consistente
ho la sensazione netta
durante lo spostarsi del mio fuoco,
col mio andare e apparire in mezzo alle
       vite.
Ma il gioco  sta nelle pietre, nell’erba
che si incastra, nel guizzo
di una lucertola in fuga
                                          che lo spacca.




mercoledì 5 giugno 2013




L’anàstasis  di NEVIO SPADONI è resurrezione

Articolo di Alessandro Fogli, pubblicato il 5 giugno 

 sul quotidiano

 IL  CORRIERE DI ROMAGNA 
(PAGINA CULTURALE)

 Si cimenta nella ripresa di una forma antica – medievale – il poeta Nevio Spadoni per la sua nuova opera “Anàstasis” (L’Arcolaio, 2013), una laude drammatica in tre quarti in cui ascoltiamo il lamento della Vergine ai piedi della croce, il grido di dolore dell’Africa e la ripresa del libro di Isaia con il ritorno degli ebrei dall’esilio di Babilonia.
E proprio la forma metrica della laude   versi brevissimi, spesso consistenti in un’unica parola, dunque immediati, perentori, spietati   rende Anàstasis  profondamente efficace nel dare ai temi chiamati in causa una nuova maturità, e per certi aspetti anche una più chiara e quasi programmatica esplicitazione della poetica di Spadoni, senza compiacimenti o debolezze. Il silenzio e il grido, il dolore e la grazia. O ancora il male del mondo e la sua bellezza, la ferita e la quiete, il corpo e la parola. Sono questi gli opposti tra cui il poeta romagnolo scarica le tensioni del suo nuovo lavoro. 
Anàstasis è parola greca che significa alzarsi ma che per estensione si associa alla risurrezione, concetto che, nella sua esegesi più attenta, avvolge qui la poetica di Spadoni. “Va sottolineato – illustra magistralmente nella postfazione del libro Eberhard Bons, professore di Antico Testamento all’università di Strasburgo – che la Bibbia ha introdotto nella lingua greca un altro uso [di anàstasis] più specifico di carattere antropologico e teologico […] si potrebbe assimilare il significato al concetto che riguarda il risveglio post mortem […] Questa anàstasis però   ed è qui che si osserva l’estensione del significato –  non dà inizio […] a una reincarnazione seguita da un’altra morte. […] Piuttosto questa anàstasis indica una risurrezione – ecco il termine forgiato già nell’antichità. Con ciò si intende l’inizio e l’apertura di una vita nuova, fondamentalmente diversa da quella che conosciamo”.
Il primo dei tre quadri, si accennava, ci mette senza indugi di fronte a Maria che soffre ai piedi della Croce. Un dolore che diventa ricordo serrato e sincopato (nel dialogo del Messaggero o del Cireneo), e poi sfogo incredulo in un’onomatopeica sequela di participi («Figlio amoroso / rinnegato / tradito / abbandonato / venduto / schiaffeggiato / flagellato. / Figlio / radice di Jesse, / i tuoi seguaci / i tuoi  amici / hanno mangiato con te, / dove sono?»). Il secondo quadro  – “Golgota del mondo, violenza senza fine” – si apre su di un’altra figura femminile dolorante, una giovane somala del nostro tempo che, come spiega nella prefazione Giorgio Bárberi Squarotti, ordinario di letteratura italiana dell’università di Torino, “è l’esempio più evidente e penoso delle donne d’Africa vittime dell’oppressione e della sofferenza imposta da tradizioni che sono in funzione della loro perpetua e disperata schiavitù.”
In questa seconda parte Spadoni attualizza dunque vertiginosamente la sofferenza umana, prendendo a simbolo la barbara e agghiacciante pratica dell’infibulazione (la cui evocazione poetica è qui più potente e struggente di mille articoli di denuncia ) e creando un contrasto continuo tra la bellezza del continente africano e il suo millenario sfruttamento. Infine, si arriva al terzo quadro, la vera e propria Anàstasis, la risurrezione da ogni male e offesa, la voce della certezza e della speranza. Abbandonato in questo frangente il “suo” dialetto romagnolo, Nevio Spadoni dimostra ancora una volta un talento poetico raro e una scrittura felicissima che lo riconfermano tra i grandi autori della contemporaneità. (L’immagine di copertina è di Federico Zanzi).