DAL SITO L''ESTROVERSO - SETTEMBRE / DICEMBRE 2014 -
ARTICOLO DI GIAMPAOLO DE PIETRO
Una
poesia onesta richiede una lettura al vetrino, un’onestà da lettori pazienti e
forse anche un tantino incoscienti di quell’importante lavoro che stanno, di
volta in volta, compiendo, seguendo il proprio richiamo alla lettura – ad occhi
limpidi, che fanno e compongono, attraverso le pagine, ogni verso fino
all’amore per la parola che tutto congiunge e ricongiunge, fino a qualcosa che viene a formarsi, intorno e
nella vita, per il suo stesso scioglimento, in progressione e rapporto agli
infiniti passaggi tra paesaggi che ne costituiscono (e restituiscono, pure)
strade, confini; pagine. Un libro di poesia, scriveva qualcuno: niente di più lontano dalla letteratura; niente di più confondibile, in taluni casi, con la
vita stessa.
La
vita mi è sembrata un panorama
che
passava dietro i finestrini della macchina
(…)
Questo
panorama tra i versi di Carmine Vitale, si trova nel suo libro Alcune cose (L’arcolaio 2010) – alcune
cose che da subito possono cogliersi in questa scrittura che ha per “mezzo” la vita, e sì, il suo
infinito frullio di realtà e sopravvivenza del sogno, la poesia che
probabilmente potrebbe allora esserne il “fine” – ma è come scoprire che questa
poesia, di questa vita, e degli interrogativi che la popolano e “confondono” –
abbia ogni angolo di partecipazione e slancio – ogni sguardo esposto,
necessariamente, in poesia – sia
dello stare al mondo, sia dell’accorgersi di stare sognando ancora, e comunque,
la vita nella vita.
Mi fa
piacere non sapere che cos’è importante
né
cosa volerà giù da un precipizio
se ci
cadrà una sera profumata
o la
tua morte e il mese di Settembre,
se
nelle tue parole ci sia sale oppure solo sete,
se
nel mio seme infranto o nelle vene
presagi
della notte o della quiete.
So
che mi fa piacere guardare un temporale
che
cade a più non posso come un male,
che
fa più male ancora di una strada non attraversata.
Ma mi
fa piacere stare qui a guardare con aria scanzonata
ciò
che finora siamo stati e il cielo che si apre sanguinante
Quello che possediamo è il titolo di questa poesia, che
si trova in chiusura a Il leviatano di
Melville e altre poesie, libro
che Carmine Vitale pubblica nel 2012 nuovamente con L’arcolaio (l’editore va ringraziato dal lettore onesto). Il lavoro
che passa per la sua lettura è grande: si tratta del ritrovamento dei resti di
un enorme cetaceo, vissuto tra i dodici e i tredici milioni di anni fa. Forse
la stessa “età della memoria” – memoria che Vitale ha, e la sua poesia cerca,
scrivendolo, di portare in salvo e tenere, insieme a chissà quale necessaria speranza, a un fratello ricordo, e un
futuro dentro le cose di adesso e di allora, forse – tutti presenti nella sua
parola, nella vita di uno sguardo così interessato a “conservare”, riservare
anche piccoli spazi a racconti che fanno ritratti lontani e vicini, raccolti e
stupiti, tra un “testimone” e il sentire altrui, in questa abitazione comune
che è la poesia, quando riesce ad essere anche questo: accoglienza, pluralità,
storia che passa per le linee di una mano e si fa geografica mappa di un
viaggio nel tempo, fino a un ritrovamento che poi è ancora domanda, ricerca,
perdita, tramortimento e ricordare,
atto d’amore inevitabile.
«Ricordare: dal latino re-cordis,
ripassare dalle parti del cuore»
Nella
maniera più fedele si dovrebbe ricordare che anche
gettando
il cuore alle ortiche queste fioriscono,
non
si avvelenano.
Nuotano,
diventano
alghe.
Così
come “al largo sul mare una primavera o un’estate si sentono
soltanto
come un soffio di vento”,
tutto
non ha età.
Davanti
agli occhi passa una rana che attraversa la rugiada;
la
guardi e puoi pensare: potrebbe essere il mio cuore che salta?
A
fianco di queste e in corsivo piccolo piccolo si notano
altre
parole: suggestione rassegnazione rammarico d’amore,
Come
Martinson che nel ’31 urlava al carbone:
DIAMANTE
INCOMPIUTO,
“nell’erba
il vento cerca qualcosa di perduto”.
Ma le
parole nei prati vivono e fioriscono.
Ecco
cosa significa allora ricordare
una
frase in epigrafe di Hrabal, presa in prestito dal
bigliettino
della lavanderia a secco:
certe
macchie non si possono togliere senza
alterare
la sostanza del tessuto
E’
davvero un lavoro serio la scrittura di Carmine Vitale, perché si ha davvero il
tatto di ciò che è stato vissuto in questa ricerca, e viene da dirlo che questa
è una strada della poesia, necessaria, perché ha in animo non soltanto un
immaginare la vita e cantarla, e neanche un’immedesimazione da descrizione
fedele e impeccabile: come in alcune poesie dell’est, che vengono talvolta
evocate dall’autore, che nomina i suoi amati maestri e “amici” di tanto (di
penna, di vita, di letture, di altro ancora), questa scrittura ha tutti i sensi
dell’essere al mondo, più il sesto e anche il settimo (quello che può
raddoppiarsi, non perché si è bionici, ma perché ci si può avvalere del dono
della memoria e del presente: il sentire) senso, il cammino dentro e fuori le
radici.
Le difficoltà di un poeta
da un
margine all’altro
per
evitare un tradimento
Inesauribile
è solo l’albero che pianta e nutre
radici
di acqua e vento.
Ci
sono queste cose scomparse, senza seme:
una
vita andata, la morte del basilico sul balcone;
la
coda di una lucertola,
una
parete ridipinta, una poesia in transito, e qualche
posto
di confine per fortuna abbattuto.
Ma
non tutto scompare.
È
così blu il cielo sopra l’asfalto
che
brilla lo zucchero filato nella pioggia.
La
strada che porta in chiesa è tutta in discesa
all’entrata
attende un’altra acqua:
una
donna pallida e confusa
l’usuraio
il
violinista pazzo
e,
mano nella mano, un medico abortista e il farmacista.
Solo
un cane, con tutti i suoi sogni, non può entrare.
È la
legge, dice.
Con
una bilancia pesiamo le parole
prima
dei due punti:
progetti
per la bellezza,
variazioni
del cuore:
pressione
delle galassie,
quei
nomi vecchi con cui prima si chiamavano i ricordi
la
prima volta.
L’elenco
dei congiuntivi
la
primavera
l’estate
-
guardare in faccia il sole
E
accorgersi che non tutto muore -