venerdì 23 ottobre 2015

DANIELA PERICONE PRESENTA IL SUO LIBRO "L'INCIAMPO" A REGGIO CALABRIA





 


 
Lunedì 26 Ottobre 2015, alle ore 17.30,

presso la Libreria Culture, via Zaleuco – Reggio Calabria,

il Centro Internazionale Scrittori della Calabria presenta il 
libro “L’inciampo”
di Daniela Pericone,

Casa Editrice L’arcolaio, di Gian Franco Fabbri.


Interverranno: 
 Loreley Rosita Borruto, presidente del Cis;
Mila Lucisano, docente di Italiano e Latino, critico letterario;
Saverio Pazzano, docente e scrittore;
l’Autrice.


Letture a cura di Cinzia Messina e Caterina Scopelliti.

giovedì 15 ottobre 2015

GIANLUCA_GARRAPA_SU_SATISFICTION_BC








La curva del giorno

Recensione di Gianluca Garrapa

ARTICOLO SCRITTO SUL BLOG - RIVISTA SATISFICTION

La curva del giorno è il secondo libro de Le qualità. Anche qui, il protagonista assoluto è il corpo. Ripartito in un Prologo ‘Attraversare il bosco’, la Parte prima ‘La luce dell’immanenza’, la Parte seconda ‘L’alacrità del vuoto’ e con un Post scriptum,sembra che in queste tappe si racchiuda la storia di ogni corpo, innanzitutto di quello del poeta. Il corpo ha le sue storie e le sue parole che nessuna storia e nessuna parola potrebbe racchiudere.
Il corpo è anche il mondo in cui vive, la casa che abita e i luoghi che lo attraversano, e non c’è niente di più difficile che esprimere l’ovvio in forma acuta, Cepollaro ci riesce, ovviamente: dormire al riparo dalla pioggia cucinando i cibi assaporando carni di altri animali e foglie e frutti. Il corpo è anche la sua assenza, il suo silenzio, quel che permette di fare in modo che ogni parola sia pleonasmo a fronte di ciò che già c’è e allora non ci basta forse solo un gesto per indicare un oggetto senza nominarlo? E poi, che senso ha parlare quando è tutto il corpo a dire? Eppure, in questo desiderio di non eccedere, nella giusta misura dell’articolazione fisica, il corpo è ciò che ha d’irrappresentabile per una parola. Allora la parola è innanzitutto ascolto, accoglienza dell’altro. E vi garantisco che è più semplice leggere-ascoltare il corpo che interpretarlo, è più salutare vagabondare tra le sequenze della curva del giorno che leggere questo corpo 12. Il corpo è davvero un microcosmo e fa del sonno una pausa intensamente viva all’interno della vita mentre il pianeta ruota. Saggezza antica. Io sono il corpo che il mondo abita.
Il corpo è occhio che racconta e lingua che assaggia il resto è una notte che lo circonda da ogni parte: non solo perché nella parte scorgiamo l’infinito del tutto, ma perché l’occhio è proprio il corpo come il respiro è il suo sguardo. E non stiamo leggendo il corpo dell’autore: è il nostro corpo quello che Cepollaro indossa e ce lo fa vedere, non parla di sé, non dice : io, ma parla anche di sé e del nostro sé non dicendo di sé ma dando voce alle spalle alla schiena curva dell’intuizione, mettendo nelle parentesi il proprio personale destino. Il mito. L’obiettivo universale. Qualcuno scriveva che il tragitto, e la verità, si fa andando, e la scrittura è questo: transito di cosa tra cose che divengono, il corpo è questo suo stesso transito, il suo incedere, lo stesso suo andare è frutto di articolazione tra ciò che non c’è più e ciò che non c’è ancora, è l’estasi.
Accade ogni giorno, a tutte le ore: ciò che accade nella curva del giorno è ciò che accade: smesso di piovere riprende il suono – che non è canto – dell’uccello di marzo, perché già il canto ha questa connotazione cerebrale, interpretativa, dello spostamento del suono. Un dopo che categorizza un prima: il corpo è nel medium, spostamento, spostamento d’aria, suono. Per questo suono è il respiro: il corpo non si pone problemi di metrica a lui pertiene il respiro che dice ed è questo il ritmo che non solo esprime ma anche lo fa felice, la metrica non predispone il corpo, ma al contrario è il piede che porta e che segna il ritmo, il ritmo del respiro, la lettura, la danza. Prima della parola era la danza. Poi il teatro, poi il teatro di parola. La parola. E per questo lo scandalo e il trauma: è stato proprio questo scontro, questo attraversamento all’origine che il linguaggio ha fatto nei confronti del corpo: prima la magia poi la scienza poi la cinica misura dell’economia ma non è l’immagine del tutto che gli resta ma solo un fatto che lo piega [...] ogni esperienza vera è trauma che non passa e non si scioglie ogni cosa vera la pelle tatua. Il corpo, per questo, non desidera, anche se desidera, e non mai desidera il pressappoco della parola, quanto diventare esso stesso suono, immagine, non metafora, un come se: il corpo [...] chiede solo modo di spandersi nel suono e nell’immagine così come si spande in altro corpo mescolando sempre all’ascolto il piacere di dimenticare sé in altro nome. E noi dimentichiamo il nostro ingombrante io nelle sequenze ipnotiche e sincere di questo scritto. Dimentichiamo il nostro per un attimo, è l’ebbrezza.
I nomi? I nomi apparecchiati sulla tavola non sono iscrizioni ma pietanze, e torna in mente il Deleuze della Logica del Senso, quando parla proprio di questo mangiare la parola, mangiarsi le parole, fare fisica del dire più che metafisica del parlare. C’è tanta luce in questo libro, tanta vita: che sbatte violenta come un’ala impazzita contro il vetro. La luce dell’immanenza, contrapposta al lavorio del vuoto. Luce. La luce fredda del parco. Il corpo: tra le sue dita la luce è sabbia e dice mare. Quasi che tra corpo e luce ci sia connubio: ma come tra due parole c’è lo spazio necessario per ricominciare a finire, allo stesso modo il corpo dice soprattutto la pace che il vuoto scava nella sosta tra andare e venire, è il pensiero questo vuoto ostinato questo disgiungimento. E leggere la curva del giorno ci fa conoscere quel vuoto come da tradizione Zen: davanti ad ogni passo spesso ritorna il vuoto che permette con l’assenza di nomi il suo moto, fino all’atteso terzo libro de Le qualità…

mercoledì 14 ottobre 2015

CLAUDIO PAGELLI TERZO CLASSIFICATO AL PREMIO "ANNA OSTI"














Ancora una buona posizione nelle classifiche dei premi nazionali di poesia.
Questa volta è ancora il nostro CLAUDIO PAGELLI ha raggiungere un buon traguardo: egli è arrivato trezo, ex aequo con Ugo Gaiato, con il suo ultimo libro "LA VOCAZIONE DELLA BALENA", pubblicato da Arcolaio nella bella collana "La costruzione del verso".
A Claudio le congratulazioni di tutta la redazione Arcolaio!

martedì 13 ottobre 2015

LETTURA DELLA COPPIA POETICA ENRICO MARCUCCI - JONATA SABBIONI. A FERMO. RASSEGNA "I VECCHI E I GIOVANI"










ORGANIZZANO

I VECCHI I GIOVANI.
DUE GENERAZIONI DI POETI A CONFRONTO

DOMANI SERA, A FERMO,

JONATA SABBIONI E ENRICO MARCUCCI

incontrano DAVIDE RONDONI

INGRESSO LIBERO

lunedì 12 ottobre 2015

LUIGI CANNILLO RECENSISCE "LETTERE DAL MONDO OFFESO" DI CHRISTIAN TITO E LUIGI DI RUSCIO




 
10 OTTOBRE 2015 | blog diretto da Ottavio Rossani
Articolo di LUIGI CANNILLO
                                    ha scritto per questo blog la recensione al carteggio tra Luigi Di Ruscio e Christian Tito, una storia affascinante che apre molte finestre sulla vita e sullapoetica di Luigi Di Ruscio, definito riduttivamente il “poeta operaio”. Egli ha scritto molte poesie e molti romanzi e altre prose.
“Lontani i tempi della corrispondenza cartacea, le lettere sono state sostituite dalle mail; ma si tratta pur sempre di  scambio epistolare. Quando lo scambio riguarda un maestro della poesia come Luigi Di Ruscio e un poeta più giovane, Christian Tito, siamo alle prese con una corrispondenza che riguarda non solo il mondo letterario in generale e quello della poesia in particolare, ma anche una dimensione più personale e intima. Per questo Lettere dal mondo offeso (L’arcolaio, 2014, pagg.,   euro), è un libro doppiamente prezioso.
Alla conoscenza fra i due scriventi si arriva grazie a una occasione particolare, alla quale allude anche il titolo del volume: Christian Tito, riceve dal librario della Libreria del Mondo Offeso di Milano un consiglio di acquisto si tratta de L’ultima raccolta di Luigi di Ruscio, Manni, 2002, e rimane così fortemente impressionato dalla lettura da rivolgersi all’autore via mail. Dal primo contatto del 2009 nasce lo scambio assiduo di mail che si concluderà solo con la morte di Di Ruscio, nel 2011.
L’amicizia che si sviluppa e resterà poi solo epistolare è fondata inizialmente sulla ammirazione dell’autore più giovane nei confronti del maestro, ma si approfondisce in un rapporto scambievole e affettuoso. Le ragioni sono molteplici: al rapporto maestro/allievo si affianca quello di padre/figlio. Di Ruscio, che è nato a Fermo ma emigrato in Norvegia nel 1953 e vive a Oslo con moglie norvegese e quattro figli, è letterariamente sconosciuto alla propria famiglia, che non conosce l’italiano e fondamentalmente ignora il riscontro letterario delle sue opere. Trova in Tito un giovane entusiasta e ben consapevole del valore del suo interlocutore, e lo considera simbolicamente come diffusore, curatore ed erede della sua opera. Tito, a sua volta, ha perso il padre, ingegnere all’Ilva di Taranto, per un tumore causato dalle emissioni dei veleni della fabbrica. Ed ecco un altro legame tra i due: la fabbrica. Di Ruscio ha lavorato tutta la vita in una fabbrica di chiodi, vivendone l’atmosfera usurante e alienante, non a caso è stato definito con approssimazione “poeta operaio”. In effetti, come Di Ruscio stesso puntualizza, questa è una definizione estremamente riduttiva: è innanzitutto un poeta che parla della propria condizione, quindi anche della fabbrica. Ma in realtà Di Ruscio è uno scrittore a tutto tondo, ha scritto in poesia e in prosa opere che superano la consueta specializzazioni per generi letterari come compartimenti stagni; lo testimonia, oltre che la sua opera in poesia, quella in prosa, di recente prestigiosamente raccolta da Felrinelli (2013).,
Le mail, conservate da Tito, sono state poi raggruppate secondo criteri non strettamente cronologici, ma piuttosto suddivise in capitoli tematici, ciascuno preceduto da una sensibile introduzione dell’autore. Attraverso la strutturazione e la cura amorevole dell’editore Gianfranco Fabbri e della curatrice Enza Valpiani, e con il contributo significativo della postfazione di Sebastiano Aglieco ha preso così forma definitiva un libro di particolare interesse, romanzo epistolare e breviario poetico, romanzo di formazione e percorso biografico letterario. Spiccano la figura di Di Ruscio, autore comunque non ancora apprezzato in tutto il suo valore dal grande pubblico, e il nodo fondamentale della sua esperienza poetico letteraria, trasmessa a Tito: il fatto che la poesia non è una esercitazione astratta o fatta per compiacimento, bensì una scrittura dell’esperienza, di una verità dell’esistenza. Il libro offre poi l’occasione per considerare l’opera poetica di Di Ruscio in tutta la sua originalità e in tutto il suo spessore: il fatto di avere lavorato incessantemente alle sue opere in da autodidatta e in una condizione di solitudine linguistica, le tematiche riguardanti l’affermazione della vita anche e nonostante i suoi passaggi problematici e l’ingiustizia sociale. Tutto questo con un lavoro incessante e ossessivo, con una tendenza alla composizione poematica, al legame con la realtà ma anche alla sua rappresentazione attraverso memorie e visioni. Tutto in un linguggio memore delle proprie origini fermane, fortemente ritmato, percussivo e vitale nella profondità e nell’accentuazione della respirazione naturale, una versificazione dal metro irrequieto e dinamico.
Il libro, presentato già in diverse città italiane anche grazie all’intraprendenza e all’affettuoso impegno di Christian Tito (prossimamente a Torino, 24 ottobre, ore 18.30 presso Unione Culturale Torino, via Cesare Battisti 4), e quindi un modo per ripercorrere, alla luce dei due ultimi anni di vita di Di Ruscio, il panorama culturale e letterario italiano degli ultimi decenni, per rileggere con la dovuta attenzione l’opera del poeta, ma soprattutto per condividere le tappe di un’amicizia”.  (Luigi Cannillo)
Proponiamo la lettura di alcune poesie di Luigi Di Ruscio, auspicando che un editore ripubblichi per intero la sua opera, meritevole di studio e di diffusione.

POESIE DI LUIGI DI RUSCIO

Ovunque l’ultimo
per questa razza orribile di primi
ultimo nella sua terra a mille lire a giornata
ultimo su questa nuova terra
per la sua voce italiana
ultimo ad odiare
e l’odio di quest’uomo vi marca tutti
schiodato e crocifisso in ogni ora
dannato per un mondo di dannati
Da Le streghe si arrotano le dentiere (A. Marotta, Napoli, 1966)
***
Questa notte vi ho rivisti tutti
splendidamente vivi
ritornammo a vedere
tutti gli orrori di quel reparto ridendo
non sono riusciti ad ammazzarci
siamo ancora tutti vivi
nuovi come fossimo risuscitati
non più contaminati dalla sporca morte
Da L’iddio ridente (Zona, 2008)
***
 Troppe le poesie iscritte e devo sostenerle tutte
questa identità è come la peste
si rimane contagiati per l’eternità
e vorrei almeno ritrovarmi in un altro sottoscritto
capace di sonni tranquilli
assestati e in una perfetta solitudine
e invece ti ritrovi nella disperazione di tutti
e non si salva nemmeno la gatta
Da L’iddio ridente 
***
 Normalmente sono ateo
ma certe volte al Dio ci credi
altre volte sento un universo
privo dell’esistenza di Dio
e la felicità è estrema
ed è perfino lo stesso
Iddio a godere di non esistere
Da L’iddio ridente (Zona, 2008)
***

Mettevo la mano sul ventre di tua madre
per sentire la tua testa
poi presentasti alla luce i tuoi capelli la tua testa la tua bocca sdentata
occupata a cacciare dal petto tutti i tuoi urli
ora guardo la tua faccia vera
i tuoi piedi che ancora non hanno tccato la terra
la tua bocca odorosa di latte che ancora non ha detto nessuna parola
le tue braccia che agiti come per allegri addii
gli occhi che inseguono tutto quello che nella luce si muove
i tuoi due denti aguzzi come chiodi con cui mordi tuo padre
la tua bocca che si apre per un linguaggio di sillabe
come canzonassi i nostri complessi discorsi
io passo il tempo incantato dietro questi giorni in cui accade
quello che neppure avevo sospettato potesse accadere
tu partirai da dove le fasulle speranze di tuo padre ti avranno lasciato
ora ti guardo da dietro un paravento d’immagini
Da Le streghe si arrotano le dentiere
***
 Ringraziare l’ignoto
per ogni boccata d’aria respirata
per ogni camminata fatta
per ogni pedalata ed ogni scritta felicemente espressa
rimarranno intatti tutti i gridi le scritte rovesciate
i versi smontabili capaci di saldarsi ovunque
neppure i ricercatori autorizzati sanno
da dove proviene tutta la gioia nostra
Da L’allucinazione (Cattedrale, 2007)
***
Passare sulla neve nuova
dove nessuno è mai passato
bere l’acqua che mai è stata bevuta
un pensiero che ancora non è stato pensato
un verso che ancora non è stato scritto
le prime parole di un nuovo nato
l’ultimo respiro di nostra morte
Da L’iddio ridente
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