lunedì 28 settembre 2015

VIOLA TALENTONI RECENSISCE "LA GIOSTRA" DI CINO PEDRELLI. ARTICOLO PUBBLICATO SULLA RIVISTA LA PIE'











CINO PEDRELLI, La giostra, a cura di Luigi Riceputi, Forlì, L’arcolaio, 2013, pp. 235, euro 15.

Articolo di Viola Talentoni apparso sulla rivista LA PIÈ, Giugno 2015.

Avevamo conosciuto Cino Pedrelli notaio, studioso di Renato Serra: un uomo serio, gentile, dal parlare misurato e controllato. Leggere questo suo libro di poesie è stata una rivelazione: amorosamente raccolto e diviso in capitoli dalla figlia Lia, ci narra la storia di una vita ricca, piena di sentimento e di intelligenza, ma soprattutto di amore: amore per la famiglia, la moglie, i figli, gli amici, la natura, le piante; amore per la vita ma anche rammarico e una calma disperazione per le ingiustizie e la follia della vita stessa e degli uomini. Lancinanti, a proposito, gli ultimi versi di Alèrum a Furlé. Allarme a Forlì: nel campanile di San Mercuriale, insieme agli sfollati, c’è un rondone, che se ne infischia dei bombardamenti e delle guerre, ma fa la sua guerra alle mosche, per portarle nel becco ancora vive e vibranti ai suoi rondinini affamati: “E sempar guèra, int sta canaja ad mond”. O quando l’amico ebreo partì per il campo di concentramento, e lui cercava di fargli coraggio: “Da qué e tri mis a sì d’arnov aquè. / Giorgio u m’ guardeva cun una gran chèlma: / No, nun a’ n’turnam piò. / Ecco. I n’è turnè piò nessun di tri”.
Il dialetto è sempre usato per incidere meglio, per esprimere con brevi e scarne parole il pudore dei sentimenti e delle ferite dell’anima. Molto bella e pervasa finalmente di serenità l’è passè e’ front. La guerra è finita, si inizia a riparare le finestre, il primo aratro ha ricominciato a lavorare la terra. Non si ha il coraggio, ancora, di sentirsi felici, con la terra ancora fresca sopra i morti. Ma presto verrà il tempo “che totta la campagna la s’infiora; / temp ad cantè a la stesa, o zarladora. / Fontanella de cor, chènta pien pien”.
Struggenti le poesie d’amore per la moglie, per i suoi bambini, per i genitori. Gli affetti familiari così importanti, a cui il poeta dedica versi sempre misurati e raccolti. Esemplare E’ temporél, nel ricordo della famiglia quando, lui ancora bambino, ci si riuniva in casa per un temporale improvviso: “Alora a s’ardusami tott in ca’ / […] Tott insen, tott insen. E a me u’ m’pareva / ch’a s’vléssum – cum’ ò i da dì? - /nenca piò ben”.
E infine l’ultima lirica, bellissima, In èlt in èlt. I rondoni volano in gruppo compatto verso paesi caldi al di là del mare, e l’autore li guarda chiedendosi dove trovano la forza di un viaggio così lungo. Eppure… “Ach invigia pr’ e’ chèp / ch’u i cundus: / e’ piò fort, e piò brèv, / quellch’u n’sbaja mai”. Ma è bello anche essere uno di loro, per non dover decidere: lasciarsi guidare, essere tutti insieme, avere tanta fiducia. Il libro è corredato da una colta introduzione dell’amico Luigi Riceputi e una prefazione della figlia Lia. Gradita, infine, l’elegante veste tipografica curata dalla giovane casa editrice L’arcolaio di Gianfranco Fabbri.

VIOLA TALENTONI


martedì 22 settembre 2015

LORENZO MARI RECENSISCE "LA VOCAZIONE DELLA BALENA" DI CLAUDIO PAGELLI.





 articolo tratto dal sito 
CARTEGGI LETTERARI

Giunge fino a noi, fra i brandelli delle narrazioni mitico-religiose che ogni tanto ci pregiamo di raccogliere, la storia del profeta Giona, raccolta nel Libro della Bibbia a lui intitolato. Di Giona “la colomba”, figlio di Amittai, si ricorda soprattutto la vicenda nel ventre della balena, o comunque del “grande pesce” – un aneddoto, tuttavia, che è soltanto una delle fasi del suo travaglio e del suo exemplum.
Nel Novecento se ne sono date interpretazioni allegoriche molto importanti, ma assai lontane dalle funzioni della storia biblica: se George Orwell ha scritto Inside the Whale (“Nel ventre della balena”, 1940), recensendo Tropico del Cancro di Henry Miller e sostenendo la sostanziale autonomia delle sfere della letteratura e della politica, ciò gli è valso gli strali di E. P. Thompson e, in tempi più recenti, di Salman Rushdie, che ha inteso invece collocarsi Outside the Whale (“Fuori dalla balena”, 1984) per continuare a promuovere una visione in qualche modo engagée dell’attività letteraria.
Ed è (anche) a questa tradizione che pare ammiccare l’ultima raccolta poetica di Claudio Pagelli, significativamente intitolata La vocazione della balena (L’Arcolaio, 2015). Nel testo che chiude il libro, infatti, Pagelli s’interroga proprio sulla balena e sulla sua vocazione, che sembra essere quella di inghiottire senza sosta il “plancton” che viaggia attraverso alcune delle poesie precedenti – “plancton” del quale abbiamo qui un’ultima figurazione umana piuttosto squallida, completamente alla deriva, forse già sconfitta: l’ombra di granchio del vecchio professore / sbanda un poco sulle scale, nella borsa marrone…
Una costruzione testuale e archi-testuale, quella di Pagelli, che si vorrebbe (anche) allegorica, dunque. Apprendiamo invece dalla prefazione di Guido Oldani che il libro si può considerare un esempio di “realismo terminale”. Categoria proposta dallo stesso Oldani nell’omonimo manifesto, edito per Mursia nel 2010, la definizione di “realismo terminale” intende accomunare tutte quelle opere che rivelano lo stato patologico della società contemporanea, là dove il dato naturale e antropico risulta interamente soggiogato dalle dinamiche dell’industrializzazione. A connotare questa particolare posizione ideologica ed estetica, che in realtà non sembra essere del tutto nuova, sarebbe, in primo luogo, l’uso della cosiddetta “similitudine rovesciata” (non l’artificiale paragonato al naturale, viceversa).
Se Oldani rintraccia questa attitudine in alcune precise circostanze testuali – “occhi di burro”, “stretti come fiammiferi in scatola” – dove l’applicazione della similitudine rovesciata resta, peraltro, un po’ dubbia, non pare essere questo l’unico criterio, né il più importante, per parlare della poesia di Pagelli. Il gusto per la rima interna e alla fine del verso, l’uso evocativo dei tre punti di sospensione, il gioco libero con le forme strofiche tradizionali (come le sette quartine che compongono la sezione “Caffè in 7/4”) segnalano un rapporto ben marcato anche con la tradizione letteraria italiana, portando la lettura verso ben altri sbocchi.
Certamente, però, i riferimenti inclusi nella definizione del “realismo terminale” tornano di grande utilità almeno sul piano tematico-simbolico. Come ha segnalato Daniele Pegorari ne Il fazzoletto di Desdemona (2014), una delle interpretazioni più calzanti delle categorie proposte da Oldani si ritrova nella poesia di Ferruccio Brugnaro, con la sua figurazione imperiosa della fabbrica. Pagelli vi sostituisce l’ufficio, con le sue mediocrità impiegatizie che si trasformano lentamente nei fanoni della balena. Lo aveva già notato, del resto, in nuce Andrea Tarabbia nella prefazione al precedente libro di Pagelli, Papez (L’Arcolaio, 2011):
Prendete la seconda sezione, “Tempi moderni”: c’è il mondo del lavoro descritto per come è, con le sue vergogne e le sue piccinerie; vi si parla di aumenti di stipendio, di mobili da ufficio, del procurarsi il pane: ma anche in questa rappresentazione della monotonia e la difficoltà del quotidiano ci sono una «faccia dritta come un ago nella luce», un «vampiro introverso», un universo «sbilenco». Ci sono immagini potenti, fulminanti, che dicono più di mille racconti.
Immagine che dice di più di mille racconti e anche di qualche tassonomia critica, la balena continua ad essere spinta dalla sua vocazione, incessantemente e imperiosamente, verso di noi.

 LORENZO MARI


Alcune poesie:

terzo piano

anche milano balla
la rumba del sisma –
nella pancia di mezzogiorno
il vetro oscilla, qualcuno grida
la tipa in fondo la fila
scatta come un topo e se la svigna dalle scale.
il capo, invece, ricurvo
fra i cavilli di un contratto
neppure s’accorge
della scossa del grido del ballo di gruppo…
(roba da poco l’oscillazione del globo
se la clausola si nega all’espulsione
se l’equilibrio è di carta e l’inganno la sola visione)


quartina n. 3

una piccola madonna di gesso
ascolta le nostre piccole preghiere
cose minime – battute sul sesso
e su ciò che resta delle preghiere


il viaggio del plancton
noi avevamo altri idee, altri progetti
noi non eravamo quello che siamo ora
 

Andrea Tarabbia
il romanzo di andrea
aperto come una falena di carta
tra le gambe, il treno scivola
sottile sui binari odorosi di maggio
fra campi veloci ed alveari di periferia –
una giovane coppia parla delle colpe della chiesa
mentre marat spolpa i suoi crimini
e il colpo di tosse della vecchia rompe gli argini dell’aria…
è così che si va, nel viaggio dritto alla bovisa
come il plancton in bocca alla balena…

mercoledì 16 settembre 2015

UN AUTORE DI PRESTIGIO ENTRA IN ARCOLAIO. e' GIOVANNI NADIANI CON IL SUO ULTIMO LAVORO INTITOLATO "ANMARCURD", IN DIALETTO ROMAGNOLO. COLLANA "L'ALTRA LINGUA". PREFAZIONE DI ALBERTO BERTONI.




GIOVANNI NADIANI E' UN AUTORE CHE HA FATTO DEL DIALETTO ROMAGNOLO UN FERTILE LABORATORIO DI RICERCA LINGUISTICA NEL QUALE UNISCE ALLE FORME ESPRESSIVE TRADIZIONALI DEL VERNACOLO UNA FELICISSIMA VENA, SE COSI' SI PUO' DIRE, DI LINGUAGGIO DIALETTALE UNITO A SOLUZIONI INEDITE, LA' DOVE L'AUTORE ABBASSA IL SUO DIRE (DELLA VITA QUOTIDIANA) E LO MESCOLA CON LA VOCAZIONE PIU' LIRICA, TIPICA DEI VECCHI AUTORI ROMAGNOLI.
INSIEME A NEVIO SPADONI E' L'INTERPRETE PIU' RAGGUARDEVOLE DELLA GENERAZIONE NATA NEGLI ANNI CINQUANTA. TRA LE SUE OPERE PRINCIPALI, RICORDIAMO "e' sech" (LA SICCITA'), DEL 1989, "TIR" (1994) E "GUARDARAIL" (2012). E' ANCHE AUTORE DI PROSE BREVI E TRADUTTORE ATTIVISSIMO. SCRIVE PURE PER IL TEATRO E IL CABARET. 


Alcune poesie:

aNmarcurd


incù a e’ mònd
pr aiutêr i vec
(ëi pu di vec chi ch’al sa?)
insimunì insabé
ch’i n’s’arcôrda piò gnît
ch’j à l’alzheimer
i specialesta j adrôva
dla mùsica Mozart Casadei Verdi
mo nench di fët dal puisei
pr avdé se i vec
sintènd cal parôl
j è bon d’arcurdês chijcvël
de’ su mònd dla su stôria...

sta terapia ultimativa
i la ciâma Alzpoetry

a voi pröpi savé me
cvel ch’j adruvarà par nó
i dutur malé d’alzpoetry
cum ch’i farà a druvê
cvel ch’a j aven scret nó
che za adës inson
l’è piò bon d’scòrar
d’lèzar sta lèngua
dsminghêda par fôrza
da tot…

u i sra sól
e’ zet vut
dla nöstra tësta
e                                 
a                                  vaion
in
cla
nebianebianebiabiâncanebianebianebianebiaaaaaa
d’pa
            r
ô
                        l

s
        f
               a
                   t
     i


aNmarcord [non mi ricordo]


oggi al mondo / per aiutare i vecchi / (ma sono vecchi chi lo sa?) / scimuniti distratti / che non si ricordano / più niente / con l’alzheimer / gli specialisti usano / la musica di Mozart Casadei Verdi / ma pure storie / poesie / per vedere se i vecchi / sentendo quelle parole / sono capace  di ricordarsi qualcosa  / del loro mondo della loro storia… // chiamano questa terapia / ultimativa Alzpoetry // voglio proprio sapere io /
cosa useranno per noi / i dottori malati d’alzpoetry / come faranno a usare / ciò  che abbiamo scritto noi / che già ora nessuno / è più capace di parlare / di leggere questa lingua / dimenticata per forza / da tutti… //
ci sarà soltanto / il silenzio vuoto / della nostra testa / e                                    noi / a        zonzo /        in  / quella  /nenbbiabiancanebbianebbianebbiaaaaa
 / di pa /               r / o /            l        / e / s /    f /       a /                          t         t /             e

 

***

Dalla sezione Nó


(NOI)


II


… nó ch’avden e’ mònd
                                                           sól cun i nòstar oc
da s-cen l’è tot cvel ch’a puten fê

nó a n’s’n’adasen brisa
che chj étar i viv e’ mònd
                                                          cun i su oc
e che ló coma nó i sreb a e’ mònd
                                                          par stê un pô in pêz
nench se bèn-ben nó e ló
                                                          a n’i staren mai

u s’amânca sèmpar chijcvël
ch’a n’sen bon d’dìl
e che cvâñd ch’a l’truvaren
                                                          l’éra cvel
ch’a j avegna cabëla avù…


II


… noi che vediamo il mondo / soltanto coi nostri occhi / da uomini è tutto ciò che possiamo fare // noi non ci accorgiamo / che gli altri vivono il mondo / coi loro occhi / e che loro come noi / sarebbero in vita / per stare un po’ in pace / anche se bene bene noi e loro / non staremo mai // ci manca sempre qualcosa / incapaci di dirlo / e che quando lo troveremo / era ciò / che avevamo già avuto…


***

 


V

… vó fiul d’chijcadon
                                               ch’a srèsum pu nó

vó da l’êlta di vòstar dè a v’alzì in vól sóra nó
e a v’sminghì e’ nöstar mònd

dal gru ch’al sgvecia in zo sóra l’impalcadura dla ca vëcia
ch’al fa la göba pr al voi che e’ mònd
u v’vô vèndar tot i mument

cvest l’è su amstir
                                                       inluvì la zent
par gnît

e vó a s’gvardì int j oc intânt ch’a s’rugì adös
in zérca d’chijcadon ch’u v’adreza la göba
e u v’insegna la strê
                                                              da bon...


V

… voi figli di qualcuno / che saremmo poi noi // voi dall’alto dei vostri giorni vi alzate sopra di noi / e dimenticandovi del nostro mondo // gru che guardano in giù di sottecchi verso il ponteggio della casa vecchia / che si piegano a far la gobba dalle voglie che il mondo / vi vuol vendere in continuazione // questo è il suo mestiere / ingolosire la gente / per niente // e voi ci guardate negli occhi mentre ci urlate addosso / in cerca di qualcuno che vi drizzi la gobba / e vi indichi la strada / davvero …



IMPORTANTE: "ANMARCURD" SI PUO' ACQUISTARE PRESSO TUTTE LE LIBRERIE ITALIANE, IN SPECIAL MODO PRESSO LE FELTRINELLI E LE MONDADORI, CON RAPIDA PRENOTAZIONE. (ARRIVO AL DOMICILIO DEL CLIENTE: 48 ORE). L'OPERA E' ACQUISTABILE ANCHE PRESSO TUTTE LE LIBRERIE VIRTUALI E INFINE PRESSO IL SITO UFFICIALE DE L'ARCOLAIO.