Articolo di LUIGI CANNILLO
ha scritto per questo blog la recensione al carteggio tra Luigi Di Ruscio
e Christian Tito,
una storia affascinante che apre molte finestre sulla vita e sullapoetica di
Luigi Di Ruscio, definito riduttivamente il “poeta operaio”. Egli ha scritto
molte poesie e molti romanzi e altre prose.
“Lontani i tempi della corrispondenza cartacea, le
lettere sono state sostituite dalle mail; ma si tratta pur sempre di
scambio epistolare. Quando lo scambio riguarda un maestro della poesia come Luigi Di Ruscio e un poeta più giovane, Christian Tito, siamo alle prese con una
corrispondenza che riguarda non solo il mondo letterario in generale e quello
della poesia in particolare, ma anche una dimensione più personale e intima.
Per questo Lettere dal mondo offeso (L’arcolaio, 2014, pagg., euro), è un libro doppiamente prezioso.
Alla conoscenza fra i due scriventi si arriva grazie a
una occasione particolare, alla quale allude anche il titolo del volume:
Christian Tito, riceve dal librario della Libreria del Mondo Offeso di Milano
un consiglio di acquisto si tratta de L’ultima raccolta di Luigi di
Ruscio, Manni, 2002, e rimane così fortemente impressionato dalla lettura da
rivolgersi all’autore via mail. Dal primo contatto del 2009 nasce lo scambio
assiduo di mail che si concluderà solo con la morte di Di Ruscio, nel 2011.
L’amicizia che si sviluppa e resterà poi solo
epistolare è fondata inizialmente sulla ammirazione dell’autore più giovane nei
confronti del maestro, ma si approfondisce in un rapporto scambievole e
affettuoso. Le ragioni sono molteplici: al rapporto maestro/allievo si affianca
quello di padre/figlio. Di Ruscio, che è nato a Fermo ma emigrato in Norvegia
nel 1953 e vive a Oslo con moglie norvegese e quattro figli, è letterariamente
sconosciuto alla propria famiglia, che non conosce l’italiano e
fondamentalmente ignora il riscontro letterario delle sue opere. Trova in Tito
un giovane entusiasta e ben consapevole del valore del suo interlocutore, e lo
considera simbolicamente come diffusore, curatore ed erede della sua opera.
Tito, a sua volta, ha perso il padre, ingegnere all’Ilva di Taranto, per un
tumore causato dalle emissioni dei veleni della fabbrica. Ed ecco un altro
legame tra i due: la fabbrica. Di Ruscio ha lavorato tutta la vita in una
fabbrica di chiodi, vivendone l’atmosfera usurante e alienante, non a caso è
stato definito con approssimazione “poeta operaio”. In effetti, come Di Ruscio
stesso puntualizza, questa è una definizione estremamente riduttiva: è
innanzitutto un poeta che parla della propria condizione, quindi anche della
fabbrica. Ma in realtà Di Ruscio è uno scrittore a tutto tondo, ha scritto in
poesia e in prosa opere che superano la consueta specializzazioni per generi
letterari come compartimenti stagni; lo testimonia, oltre che la sua opera in
poesia, quella in prosa, di recente prestigiosamente raccolta da Felrinelli
(2013).,
Le mail, conservate da Tito, sono state poi
raggruppate secondo criteri non strettamente cronologici, ma piuttosto
suddivise in capitoli tematici, ciascuno preceduto da una sensibile
introduzione dell’autore. Attraverso la strutturazione e la cura amorevole
dell’editore Gianfranco
Fabbri e della curatrice Enza Valpiani, e con il contributo
significativo della postfazione di Sebastiano Aglieco ha preso così forma definitiva un libro di particolare
interesse, romanzo epistolare e breviario poetico, romanzo di formazione e
percorso biografico letterario. Spiccano la figura di Di Ruscio, autore
comunque non ancora apprezzato in tutto il suo valore dal grande pubblico, e il
nodo fondamentale della sua esperienza poetico letteraria, trasmessa a Tito: il
fatto che la poesia non è una esercitazione astratta o fatta per compiacimento,
bensì una scrittura dell’esperienza, di una verità dell’esistenza. Il libro
offre poi l’occasione per considerare l’opera poetica di Di Ruscio in tutta la
sua originalità e in tutto il suo spessore: il fatto di avere lavorato
incessantemente alle sue opere in da autodidatta e in una condizione di
solitudine linguistica, le tematiche riguardanti l’affermazione della vita
anche e nonostante i suoi passaggi problematici e l’ingiustizia sociale. Tutto
questo con un lavoro incessante e ossessivo, con una tendenza alla composizione
poematica, al legame con la realtà ma anche alla sua rappresentazione
attraverso memorie e visioni. Tutto in un linguggio memore delle proprie
origini fermane, fortemente ritmato, percussivo e vitale nella profondità e
nell’accentuazione della respirazione naturale, una versificazione dal metro
irrequieto e dinamico.
Il libro, presentato già in diverse città italiane
anche grazie all’intraprendenza e all’affettuoso impegno di Christian Tito (prossimamente
a Torino, 24 ottobre, ore 18.30 presso Unione Culturale Torino, via Cesare
Battisti 4), e quindi un modo per ripercorrere, alla luce dei due ultimi
anni di vita di Di Ruscio, il panorama culturale e letterario italiano degli
ultimi decenni, per rileggere con la dovuta attenzione l’opera del poeta, ma
soprattutto per condividere le tappe di un’amicizia”. (Luigi Cannillo)
Proponiamo la lettura di alcune poesie di Luigi Di
Ruscio, auspicando che un editore ripubblichi per intero la sua opera, meritevole
di studio e di diffusione.
POESIE DI LUIGI DI RUSCIO
Ovunque l’ultimo
per questa razza orribile di primi
ultimo nella sua terra a mille lire a giornata
ultimo su questa nuova terra
per la sua voce italiana
ultimo ad odiare
e l’odio di quest’uomo vi marca tutti
schiodato e crocifisso in ogni ora
dannato per un mondo di dannati
Da Le streghe
si arrotano le dentiere (A. Marotta, Napoli, 1966)
***
Questa notte vi ho rivisti tutti
splendidamente vivi
ritornammo a vedere
tutti gli orrori di quel reparto ridendo
non sono riusciti ad ammazzarci
siamo ancora tutti vivi
nuovi come fossimo risuscitati
non più contaminati dalla sporca morte
Da L’iddio ridente
(Zona, 2008)
***
Troppe le poesie iscritte e devo sostenerle
tutte
questa identità è come la peste
si rimane contagiati per l’eternità
e vorrei almeno ritrovarmi in un altro sottoscritto
capace di sonni tranquilli
assestati e in una perfetta solitudine
e invece ti ritrovi nella disperazione di tutti
e non si salva nemmeno la gatta
Da L’iddio ridente
***
Normalmente sono ateo
ma certe volte al Dio ci credi
altre volte sento un universo
privo dell’esistenza di Dio
e la felicità è estrema
ed è perfino lo stesso
Iddio a godere di non esistere
Da L’iddio ridente
(Zona, 2008)
***
Mettevo la mano sul ventre di tua madre
per sentire la tua testa
poi presentasti alla luce i tuoi capelli la tua testa
la tua bocca sdentata
occupata a cacciare dal petto tutti i tuoi urli
ora guardo la tua faccia vera
i tuoi piedi che ancora non hanno tccato la terra
la tua bocca odorosa di latte che ancora non ha detto
nessuna parola
le tue braccia che agiti come per allegri addii
gli occhi che inseguono tutto quello che nella luce si
muove
i tuoi due denti aguzzi come chiodi con cui mordi tuo
padre
la tua bocca che si apre per un linguaggio di sillabe
come canzonassi i nostri complessi discorsi
io passo il tempo incantato dietro questi giorni in
cui accade
quello che neppure avevo sospettato potesse accadere
tu partirai da dove le fasulle speranze di tuo padre
ti avranno lasciato
ora ti guardo da dietro un paravento d’immagini
Da Le streghe si
arrotano le dentiere
***
Ringraziare l’ignoto
per ogni boccata d’aria respirata
per ogni camminata fatta
per ogni pedalata ed ogni scritta felicemente espressa
rimarranno intatti tutti i gridi le scritte rovesciate
i versi smontabili capaci di saldarsi ovunque
neppure i ricercatori autorizzati sanno
da dove proviene tutta la gioia nostra
Da L’allucinazione
(Cattedrale, 2007)
***
Passare sulla neve nuova
dove nessuno è mai passato
bere l’acqua che mai è stata bevuta
un pensiero che ancora non è stato pensato
un verso che ancora non è stato scritto
le prime parole di un nuovo nato
l’ultimo respiro di nostra morte
Da L’iddio ridente
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