ARTICOLO DI VIOLA AMARELLI (TRATTO DAL BLOG DELL’AUTRICE)
L’ultimo libro di Giacomo Cerrai ha un titolo sottilmente, e forse
volutamente, fuorviante: “Diario estivo e
altre sequenze”, L’Arcolaio 2012, ha di fatto poco di
una cronaca quotidiana per quanto metaforizzante e molto, invece, di una
ricerca sulla natura e i limiti dell’esperienza umana.
Ognuna delle otto sequenze che compongono l’opera
tende alla dimensione di un micro poema, configurandosi quasi come
un capitolo dove i singoli testi fungono da paragrafo. Il
filo conduttore è appunto la ricerca, o meglio lo smascheramento (galleggia
la maschera sull’acqua) delle coordinate che modellano la vita umana:
il tempo (come nella sequenza di avvio che è appunto “Diario
estivo”) e lo spazio (palese in “Percorsi, tragitti, altro..”). Se
queste sono le campiture principali scelte dall’autore, non mancano tuttavia
gli innesti materici (“Acqua, pietra, coltello”) e soprattutto un
percorso di rigorosa autoriflessione etica palese nelle sequenze
finali di “Fuori dal ring” e “Common law”.
La scrittura di Cerrai parte da una posizione
frontale, quella dell’osservatore, alludendo sottotraccia a protocolli
scientifici con l’utilizzo tra l’altro di lemmi tecnici (cenofobia,
alogenuri, topo- logia) , per giungere progressivamente a una situazione
immersiva con l’oggetto dell’indagine, che continua a negarsi, a eludere man
mano che si procede nell’interrogazione (chi?; cosa?; l’ultimo –non
riscattato?) la quale resta – costitutivamente – senza
risposta, fino a tangere il “vuoto” (Non c’erano regole. Non era che un
piano inclinato dove le immagini scivolavano lentamente.). E’ quindi un
protocollo che si auto cancella in fieri, in una dimensione che si sottrae
poeticamente alla lirica, non essendoci un IO se non come mera
inquadratura, e alla stessa poesia civile, di cui permane traccia
tuttavia rilevante nella condivisione (tutti con le mani in alto/come
arresi. / I gomiti rovesciati,/uomini preghiera appesi agli alberi) di una
comune esperienza che non fa storia.
A livello formale, la versificazione si incentra più
che sulla metrica, o sulla prosodia, sul ritmo – palese anche nella sequenza di
prose denominata “Traiettorie” – ritmo che aderisce impercettibilmente ma
ostinatamente alla ricerca fenomenologica del libro, denotando l’influenza
della poesia francese contemporanea di cui Cerrai è attento studioso (sue
tra l’altro alcune traduzioni di Gherasim Luca nella recente antologia “La fine
del mondo – Poesie 1945-1991)”). L’uso di ampie spaziature bianche all’interno
del verso e l’alternarsi di tempi verbali diversi nello stesso testo creano di
fatto una sospensione mai misterica, quanto materica, come se l’esperienza
dovesse liberarsi dei vincoli spaziotemporali e, soprattutto, delle stesse
parole (l’ultima parola feticcio;…l’epigrafe/dei corvi sono
parole/prese dai rimari) per darsi pienamente.
Di questa tensione, destinata ontologicamente a
ripetersi senza certezze del traguardo, il “Diario” costituisce
testimonianza auten- tica, e in controluce, “patita” nel senso etimologico
del termine: E se c’erano cerchi,/ erano la ricerca di un profondo.
VIOLA AMARELLI
ottima lettura, grazie!
RispondiEliminaVero, la penna di Viola è eccezionale per un libro importante come il Diario del nostro Giacomo!!
RispondiEliminaUn abbraccio a tutti voi!!
Gianfranco.